Leggenda a Pontevecchio



L'enigma del bosco. Spuntano i Menhir

Delle cento e più statue stele esistenti nell'Italia del Nord, più della metà sono state scoperte in Lunigiana che è, quindi, a buona ragione, la capitale del misterioso popolo di pietra.
Nessuno finora ha fornito convincenti spiegazioni sulle funzioni di queste pietre scolpite, molte delle quali sono state trovate con inquietante rassomiglianza in Corsica, Spagna, Francia, Crimea, Turchia, Grecia, Germania, Urss, Bulgaria, Portogallo e in altre nazioni. Nessuno è riuscito a stabilire se in Lunigiana sono arrivate dall'interno del continente o dal mare oppure se sono state realizzate in loco, come sembra molto probabile.
Di sicuro si sa che la Lunigiana è il territorio in cui la diffusione delle statue stele ha raggiunto una consistenza raramente riscontrata in altri posti, e chissà quante altre ancora attendono di essere portate alla luce del sole. Basti dire che all'inizio del secolo tre soli menhir erano censiti:
attualmente sono più di cinquanta. In un solo colpo, a Pontevecchio, nel 1905, ne furono trovate nove. Tutte allineate, venute alla luce per caso, durante lavori di scasso del terreno eseguiti da un contadino del luogo, certo Antonelli, il quale voleva trasformare in terreno coltivabile un vasto bosco di castagni.
Nove statue di varia grandezza, interrate l'una accanto all'altra ad una profondità di pochi metri, come una piccola Stonehenge. La zona del ritrovamento si trova in un pianoro, alla confluenza di due torrenti. E' una zona chiusa, circondata da colline. Accanto alle statue i resti di muri, forse quanto restava di un villaggio i cui abitanti praticavano il culto degli enigmatici idoli di pietra. C'è chi ha avanzato l'ipotesi che le statue non siano state sepolte dall'uomo, ma da uno smottamento che avrebbe coinvolto un borgo.
Nel 1991, durante un convegno a Tenda, in Francia, l'archeologo Franco Mezzena, che ad Aosta ha riportato alla luce una cinquantina di stele, ha avanzato una suggestiva ipotesi sulle origini del popolo di pietra. In sostanza tremila anni prima dell'era cristiana, popolazioni caucasiche si sono spostate ad ondate verso occidente percorrendo l'Europa in lungo e largo, mari compresi.
Ovunque sono passate hanno lasciato i segni della loro presenza, appunto stele e menhir portando inoltre innovazioni rivoluzionarie: la ruota, il carro, l'aratro, un sistema di misurazione e nuove idee religiose espresse appunto dai monumenti di pietra.
Mezzena sostiene che questi uomini sono gli stessi della mitologia greca:
Ercole, Giasone, Cadmo le cui gesta sono arrivate a noi attraverso i miti, come quello degli Argonauti alla ricerca dei vello d'oro. Tali miti non sarebbero altro che la trasposizione di una realtà remota ora leggibile archeologicamente, e le rotte indicate negli antichi racconti sarebbero segnate dai menhir e dalle stele che dalla Russia al Portogallo sono accomunate da impressionanti analogie.
Ad Aosta, la struttura del Dolmen scoperto da Mezzena, con la sua forma triangolare, suggerisce la prua di una nave sulla quale viaggiano simbolicamente i defunti sepolti all'interno del simulacro di pietra che ricorda le navi degli eroi esploratori. Secondo l'archeologo, i miti sono quasi sempre realtà trasfigurate e lo dimostrerebbero molti dei rituali trovati nelle tombe.
E Mezzena cita anche il sistema di misura impiegato dai costruttori del complesso megalitico: un sistema anglosassone, col pollice e la yarda. Secondo Mezzena, ciò significa che nell'area anglosassone il sistema è rimasto intatto per cinquemila anni, come è pure avvenuto in valle d'Aosta dove pollici e yarde sono stati utilizzati fino al periodo napoleonico, testimonianze che tali unità di misura erano comuni in tutta Europa.

Nessun commento: